Il nuovo codice

Il nuovo alfabeto della competenza: leggere, scrivere e… riscriversi con l’IA

Siamo abituati a pensare che basti sapere leggere, scrivere e fare di conto per essere parte della popolazione “nella media”. Molti ritengono che chi ha imparato usando il metodo tradizionale (“quando andavo a scuola io, si faceva così: si leggeva, si facevano riassunti e sintesi, si sviluppava il senso critico!”) sarà privilegiato. Una sorta di figura mitologica, più forte dell’IA e soprattutto di chi la usa. Potenzialmente superiore a livello qualitativo.

Quelli che dicono: “Io le email me le scrivo da solo”. Perché si sa, tutti scrivono di proprio pugno e scrivono bene, solo grazie alle “scuole pesanti”.

La domanda che ci ossessiona

La domanda che tutti ci siamo fatti è: l’IA ci ruberà il lavoro?

La risposta oramai si è calcificata:

“Non sarà l’IA a rubarti il lavoro, ma il collega che la saprà usare meglio di te”.

Tuttavia non si assiste ancora a un cambiamento di atteggiamento. Non credo accettare o temere l’IA sia legato a differenze culturali. È forse qualcosa di più romantico, come l’attaccamento che alcuni hanno per il vintage: i vinili o le fotografie analogiche fatte con la pellicola.

Il contrasto è simile. C’è la nuova Canon con messa a fuoco dotata di nuvola a 148 punti, o poi c’è il vostro conoscente che usa una gloriosa Leica a pellicola da 35mm. Non ha nemmeno un mirino convenzionale, ma un telemetro. Motivo logico? Nessuno. Qualitativamente? Potremmo parlarne per ore, ma sappiamo dove si trovi la realtà.

Ma sono tutti romanticoni quelli che rinnegano l’uso dell’IA per qualunque scopo, lista della spesa compresa?

Il nuovo mondo del lavoro

Oggi il lavoro si costruisce con linguaggi diversi, nuovi. In alcuni settori, come la programmazione, ci sono circostanze in cui i linguaggi tradizionali non sono più necessari (no code e vibe coding).

Il no code permette di creare applicazioni complesse senza scrivere codice tradizionale, attraverso interfacce grafiche intuitive. Il vibe coding va oltre: descrive quello che vuoi e l’IA lo crea per te.

Questo ha consentito a brillanti individui di portare avanti un proprio concept senza investire soldi che non avevano. Li ha portati a livelli di prototipazione molto avanzati. È necessariamente un male?

Le diagnosi mediche coadiuvate dall’analisi dei referti potenziata con l’IA sono un male? Il medico che le usa è meno medico? Per un’analisi cosa vorreste che usassero il vecchio apparato per fare l’ortopanoramica o il più recente ortopantomografo di ultima generazione in grado di cogliere più dettagli?

L’intelligenza artificiale ci sta ponendo davanti a una scelta: imparare a conversare con lei, o restare esclusi dalla conversazione.

La “nuova” alfabetizzazione

Se alla base di un’adozione responsabile dell’IA serve una nuova forma di competenza, una parte importante di questa formazione punta sul saper padroneggiare la lingua. Un miglior uso delle capacità di espressione, comprensione e approfondimento.

I tre pilastri della competenza IA

1. Comprendere il tono di un testo

Saper identificare quando un messaggio è empatico, freddo o aggressivo. Questo significa sviluppare una sensibilità emotiva che va oltre le parole scritte.

Esercizio pratico: Chiedi all’IA di identificare il tono di ogni documento che elabori, sistematicamente. Diventerà la tua palestra emotiva digitale.

2. Saper scrivere un prompt chiaro

Non basta chiedere “scrivimi un’email”. Bisogna saper definire contesto, obiettivo, tono desiderato, pubblico di riferimento.

Esempio concreto: Invece di “Scrivi un’email di chiarimento”, prova con “Scrivi un’email professionale ma cordiale al cliente XYZ per chiarire il malinteso sul progetto ABC, mantenendo un tono collaborativo e propositivo”.

3. Saper valutare una risposta che sembra giusta, ma non lo è

Sviluppare un senso critico affinato per riconoscere le allucinazioni dell’IA, le informazioni plausibili ma false, le risposte fuori contesto.

Un esempio quotidiano che fa la differenza

Tre persone chiedono la stessa cosa a un assistente IA: “Mi puoi scrivere un’email di chiarimento?”

  • La prima ottiene un testo assertivo e rigido
  • La seconda riceve una risposta entusiasta, fin troppo felice
  • La terza ottiene un messaggio empatico e diretto, con tono collaborativo

Tutto dipende da come è stato interpretato ciò di cui si ha bisogno, da come è stata posta la domanda e da come è stata letta la risposta.

Non è questione di tecnologia. È una questione di alfabetizzazione emotiva, semantica, comunicativa. Roba che dovremmo aver imparato alle elementari.

La profezia di Floridi si avvera

Nel 2014 Luciano Floridi, in “La quarta rivoluzione”, descriveva le aspettative del web semantico. Si confidava nel suo successo, ma mancava una componente chiave: la capacità di compiere un’analisi del testo e una comprensione semantica profonda. Questa competenza apparteneva solo all’essere umano.

La macchina, no.

Era una conferma di come il test di Turing fosse ancora valido per saggiare le potenzialità delle intelligenze artificiali.

Oggi questo successo è molto più vicino. Forse è arrivato. La capacità conversazionale dei chatbot è cresciuta tantissimo. Le voci sono estremamente realistiche.

Il pericolo del semi-alfabeta digitale

Questo costituisce il rischio più grosso. L’IA è evoluta fino a convincere che le sue capacità siano equiparabili, se non superiori, a quelle di un essere umano medio.

Il semi-analfabeta digitale ha pensato di poter giocare al cambio di ruoli. Dice all’IA di comportarsi come un “Mr. X” esperto in chissacosa, attende il responso e lo fa proprio. Diventa “Mr. X”.

La realtà è ben diversa. Questo fantomatico “Mr. X” tipicamente:

  • sa usare gli strumenti in maniera sufficiente, ma con senso critico discutibile;
  • non sa definire e descrivere il contesto;
  • sa copiare una risposta;
  • non sa verificare se sia coerente.

Risultato? Interpretazioni sbagliate basate su allucinazioni non gestite. Domande senza contesto. Decisioni sbagliate, comunicazioni sbagliate, risultati sbagliati.

Il vero vantaggio

Qual è allora il vero beneficio di questa tecnologia?

È indispensabile l’uso accompagnato da una supervisione umana di qualità. Questo non può far altro che migliorare la qualità delle richieste, affinare la comprensione delle sfumature nelle risposte e renderci parte di coloro che usano efficientemente le tecnologie senza subirle.

E questo non ha nulla a che vedere con la programmazione o il codice. Ha che fare con il linguaggio, il pensiero, la consapevolezza.

Test di autovalutazione

Ogni tanto capita che mi trovi a ragionare davanti a lavori che faccio con l’IA; mi chiedo:

  1. l’IA mi sta dando una risposta plausibile ma sbagliata?
  2. riesco a formulare richieste specifiche che ottengono esattamente quello che mi serve?
  3. Riesco ad adattare il tono delle comunicazioni digitali al contesto?

Se mi accorgo di aver risposto “no” a una di queste domande, significa che ho un’are di miglioramento da curare.

Conclusione

Più che chiedersi se sia importante saper utilizzare l’IA, la conclusione è che ciò che è diventato determinante è saper comunicare. È importante saper parlare con l’IA quasi quanto è importante saper comunicare con l’essere umano.

Non è mai stato premiato chi conosce tutti gli strumenti. Non è mai accaduto.

È l’ennesima circostanza in cui la conoscenza profonda e specifica è determinante. Il futuro premierà chi padroneggerà le sfumature del linguaggio, chi saprà muoversi al suo interno con la sicurezza tipica dei linguisti.

E i linguisti, guarda caso, sono tra le figure professionali più richieste da qui a qualche anno..

Davide Giordano

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